In questo giorno si rinnova l’emozione del mio primo incontro con Taranto come arcivescovo , successore di San Cataldo. Qui ho venerato le sue reliquie per la prima volta come Vescovo sette anni fa in una Cattedrale piena di ammalati che sono stati i primi da me visitati.
In questa festa dell’Epifania ricordiamo i Magi che, seguendo una stella più brillante delle altre, sono giunti sino a Betlemme. Bisogna sempre domandarsi il perché siano partiti, perché si sono messi in viaggio? La prima risposta è che erano uomini inquieti, che non si accontentavano dello status quo e continuavano a cercare qualcosa più grande degli astri; una stella più bella di tutte le altre: cercavano qualcosa al di là dei loro beni, cercavano la verità; un bene più grande capace di illuminare il senso del mondo e la vita di tutti. Cercavano di sapere come si fa ad essere uomini con una dignità non sopraffatta dalla morte. Cercavano la salvezza, cercavano Dio. Ed allora, coraggiosi, si sono messi in viaggio lasciando le loro comodità in una avventura non garantita, in un cammino misterioso. Qualcun altro aveva messo nel loro cuore il desiderio e, seguendo la stella, sono partiti, mossi dagli occhi e dal cuore.
E, dopo l’incidente di percorso dell’incontro con Erode, la stella si è fermata “sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono” (Mt 2, 9-11).
Videro il bambino e lo adorarono. Anche i pastori avevano visto il bambino e lo hanno adorato. Quando Gesù comincia la sua vita pubblica ai primi due discepoli che gli chiedono “Maestro dove abiti?”, risponde “venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,39).
Anche noi “siamo venuti ed abbiamo visto”. E ciò è anche accaduto per noi nell’incontro con i nostri genitori, con un amico, con un evento: siamo venuti ed abbiamo visto. L’Epifania è la festa del vedere.
Anche sette anni fa “sono venuto ed ho visto” sono venuto a Taranto ed ho visto il popolo di Dio festante e sono rimasto toccato dall’accoglienza dei tarantini piccoli e grandi. Una gioia contagiosa per accogliere il nuovo successore di San Cataldo venuto anch’io da lontano, pur essendo figlio di questa terra. Non solo io, ma tutti noi abbiamo visto nella fede e nella vita del nostro popolo il volto inconfondibile di quel bambino, del Salvatore.
Per valutare questi anni prendo lo spunto dalla visita avvenuta nei giorni scorsi del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, per celebrare il cinquantesimo della venuta di Paolo VI a Taranto. Ho visto la mia chiesa diocesana non ferma ad una riflessione astratta, ma innestata nel groviglio di tutte le questioni che caratterizzano la nostra città, non osservatrice esterna, ma sempre impegnata in ogni tentativo di coesione, di conciliazione, di giudizio comune. Ho ringraziato Dio, perché sono stati anni difficili, costati sacrifici e tante sfide insieme a più o meno esplicite critiche circa il ruolo della Chiesa e della giusta pertinenza. Spesso mi hanno chiesto se la priorità pastorale della Chiesa di Taranto fosse questa tensione e attenzione costante alla custodia del creato, alla salute e al lavoro. Ultimamente mi sono anche permesso di rimarcare una certa recente assuefazione della città, una latitanza dal dibattimento pubblico per la sensibilizzazione a tutti i grandi temi da parte della società civile.
Ogni dubbio è stato sempre fugato da una visione di fondo, da un criterio semplice ma non banale: ho guardato nella direzione del Papa. Quella è la nostra forza e garanzia. Guardare al Papa ci dona coraggio e serenità. Non dobbiamo mettere a tacere la voce di Cristo sulle grandi sfide tarantine ma dobbiamo permettere a Nostro Signore di parlare attraverso l’annuncio evangelico in ogni ambito dove l’uomo vive, lavora e si realizza.
Questo costituisce la parte migliore e più bella del nostro ministero, che ci chiede di seminare di tentare cammini di solidarietà nuovi perché il Signore ci sorprenda con la sue messi inaspettate e abbondanti.
I Magi sono stati ostinati, anche noi dobbiamo esserlo, abbiamo infatti una speranza certa che da ragione alla nostra ostinazione di percorrere strade nuove ed impervie. Invito tutti voi ad ostinarvi con me, l’ho detto altre volte, ad ostinarvi nella speranza.
Il centro notturno San Cataldo vescovo, ad esempio, è frutto di una generosità ostinata e condivisa. Ed oggi aro a pranzo con loro. Quando qualcuno sottilmente mi porge la battuta più meno maliziosa: “hai realizzato un albergo di lusso per i senzatetto”, io sento una grande soddisfazione. Abbiamo aperto a tutti la strada della bellezza e stiamo seguendo il percorso di papa Francesco che tratta i poveri come la ricchezza della Chiesa.
È frutto di ostinazione anche il Santuario Madonna della Salute e tutti gli sforzi fatti per la città vecchia perché noi pensando alla rinascita di questa parte di Taranto nutriamo la speranza biblica che anche il deserto può fiorire e dobbiamo crederlo realmente! C’è ancora molto da fare. Occorre un vigoroso lavoro congiunto nella difesa della salute, dell’ambiente, del lavoro e anche nell’accoglienza dei migranti che vagano nel Mare Nostrum.
Ma in questa giornata straordinaria dell’Epifania, nella quale Gesù si manifesta ai magi, che rappresentano tutti i popoli della terra, nella sua vera realtà umana e divina guardo le mie mani che non sono colme di oro, incenso e mirra, ma per la benevolenza di Dio recano Gesù stesso, come ci ricordano i testi di questa liturgia.
Pregate per me perché possa offrirvi il Signore stesso, la fonte della nostra felicità. Come fecero i Magi anche noi facciamo la nostra offerta. Come facciamo doni ai nostri bambini, tutta la nostra comunità può fare della vita un dono, ed ogni cristiano può fare questa esperienza straordinaria di essere donatore di Gesù Cristo, di essere per gli altri una stella che illumina il cammino della vita.
Vi ringrazio, vi abbraccio e vi chiedo di pregare per me.