In questi giorni mi addolorano profondamente. le notizie di cronaca che raccontano della crudele violenza subìta da due donne e da una disabile abusata.
Una madre di famiglia è scampata alla morte ed è riuscita a mettersi in salvo con i suoi figli mentre il marito, forse resosi conto della sua inusitata violenza, si toglieva la vita; una giovane fragile ha trovato il coraggio di denunciare le ripetute violenze subìte da un branco di uomini senza scrupoli né coscienza.
E Poi gli abusi su una 21enne disabile da parte di otto autisti dell’Amat attualmente indagati.
Nonostante le giornate dedicate, le campagne di sensibilizzazione, la donna continua ad essere considerata come oggetto subordinato al maschio, oggetto del suo possesso malato, e allora viltà e sopruso sono il combinato disposto che la condanna a patire la sofferenza inflitta oltre che da estranei spesso anche dal marito, dagli amici, da conoscenti, di chi credeva potesse fidarsi.
Lo sgomento ci ha investito tutti ma rischiamo che tutto resti uguale fino al prossimo caso di violenza senza che nulla cambi.
Se c’è una strada da percorrere insieme non può che essere quella che ci conduca a riconsiderare il valore principe della convivenza che è quello del rispetto della persona che non può essere ritenuta di uso personale, mercificata.
All’origine di questa violenza c’è una considerazione della vita nostra e degli altri come possesso. C’è un’inversione profonda perché la vita è originariamente rapporto e relazione non sfruttamento e sopraffazione. L’ideologia attualmente dominante è l’individualismo che si manifesta in varie maniere sino ad assumere la forma clamorosa del delitto. Oltre alle aberrazioni va curata questa visione in cui la relazione è sostanzialmente di possesso e di dominio e non di dialogo e di cura. A ciò si aggiunge il fatto che Il pansessualismo della nostra società ha creato una illusione di libertà che nei casi più gravi è degenerata in comportamenti patologici e a volte incontrollabili.
La donna diventa così una preda, vittima degli atti inqualificabili di uomini che in gruppo, in branco, degenerano la nostra umanità. Di fronte a tale situazione non basta l’indignazione di un momento, dobbiamo seriamente interrogarci e mettere in campo tutte le buone prassi possibili ma partendo necessariamente dall’educazione al rispetto dell’altro. Dovremmo domandarci: stiamo facendo tutto il possibile in campo educativo per invertire questa tendenza? L’altro non è un oggetto, ha una sua dignità e non va considerato come oggetto di un mio potere. Aggiungiamo che l’altro ha una sua sacralità che non può essere manipolata. La fede rafforza la considerazione puramente umana della dignità della persona ed offre un fondamento stabile al rispetto naturale verso gli altri. Sappiamo bene che non è consentito alzare la mano contro chiunque, ancor più contro chi è più debole e indifeso.
Sicuramente le autorità competenti faranno piena luce sui fatti agghiaccianti ma desidero invitare tutta la comunità cittadina a una profonda riflessione su come tutto questo possa essere accaduto e su come adoperarsi perché nessuna donna sia di nuovo in pericolo. A questo unisco la mia preghiera accorata per le vittime e per tutta la nostra comunità.
+ Filippo Santoro
Arcivescovo metropolita di Taranto