Cari fratelli e sorelle,
è il secondo Natale consecutivo che il virus sembra costringerci a vivere nell’isolamento di una grotta di periferia, facendoci patire di forza la precarietà della nostra vita. Sebbene i miglioramenti, i vaccini, le costanti riprese e frenate sono segni di avanzamento nella lotta ingaggiata contro la pandemia, sullo sfondo rimane il grande interrogativo sulla vita, sulla vera salvezza: «Chi può salvarci? Chi può diradare per sempre le tenebre e l’ombra di morte?». Abbiamo perso tanti amici in questi mesi e molti altri cercano di venire fuori dai traumi del post covid. Dalla fragilità del Bimbo che nasce fra le braccia di Maria e Giuseppe, vorrei invitare tutta la nostra comunità a cui auguro di vivere pienamente questa convinzione, che in mezzo alle difficoltà e alla corsa della vita abbiamo bisogno di un Redentore, di un Salvatore. Qualcuno che distrugga ogni solitudine e che dandoci la vera vita ci rende davvero «congiunti», comunità in cammino verso la speranza.
Non emarginiamo il Signore dalla nostra vita altrimenti il Natale sarà consumi e contorni vari e non l’inizio della nostra salvezza. Gesù viene come un bambino. Viene attraverso una presenza umana. Ogni cambiamento reale è sempre davanti a una presenza. È una presenza amata che ci mette in subbuglio, che ci fa cambiare, che ci rimette in moto.
Il Natale del Signore riverbera tanti raggi come la gioia, la solidarietà, la voglia di far festa, di stare insieme, i sentimenti di pace, ma il Cristiano, baciato dai raggi benedice il sole di giustizia che è sorto, che è Gesù il Dio che salva, l’Emmanuele, il Dio con noi.
Sulla paglia della nostra natura umana, su quella fragilità di cui si riveste il Verbo di Dio, nasce la passione per la vita e per i fratelli, davanti al Dio che nasce, ogni uomo rinasce, risorge, viene alla luce conoscendo la Verità. Nella notte del Santo Natale siamo tutti chiamati a raccolta, perché l’annuncio è per tutti, noi che siamo amati dal Signore, così che il vagito di Gesù bambino stordisce e buca ogni sordo individualismo, risveglia in noi i veri sentimenti della fratellanza e dell’appartenenza. A Betlemme scopriamo di appartenerci, per dirla con un’espressione tutta meridionale, facciamo esperienza di essere parenti dell’Amore. Quando all’addiaccio di una nottata invernale, noi pastori nomadi ed erranti riceviamo l’annuncio degli angeli facciamo parte all’improvviso di un pellegrinaggio, di un cammino di comunione.
Sgorga così nel cuore di ognuno il desiderio di fare del bene, di prenderci cura gli uni degli altri, di amare il mondo in cui abitiamo, la casa comune. Tutto ciò che è destinatario dell’amore di Dio, del creatore e redentore è pienamente illuminato nel suo valore, tutto si rivela come dono non da sciupare ma da custodire. La Chiesa vive sicuramente una stagione complicata per tanti motivi che sono segni del nostro tempo, ma nella nascita di Gesù noi vediamo sorgere la stella, e il nostro cuore si riempie di gioia, perché essa ci orienta alla presenza di una speranza. Il cammino di sinodalità che siamo chiamati a vivere è un invito ad alzare lo sguardo in alto, compiendo la fatica di distogliere le nostre attenzioni, essenzialmente dai propri piedi dalle preoccupazioni personali, di parte, riaffermando che tutti abbiamo bisogno della stella, tutti abbiamo bisogno di Dio, riscoprire che siamo fratelli di ciascun uomo e ciascuna donna. La sinodalità è un abbraccio della comunità che alza lo sguardo sopra ogni differenza, che non teme diversità, perché il dono della dignità dell’amore data dal Dio che si dona, vince tutto.
Una delle cose che amo di più del Natale, sono i canti, ma non quelli virtuosistici dei solisti, ma dei cori, dei cori di famiglia, di bambini, di anziani, di giovani, dei poveri: al Re del cielo si elevi un canto sinodale che non rinunci a nessuno accordo, a nessuna voce, in un’armonia che fa di quelle che diremmo stonature l’atmosfera impareggiabile dell’accoglienza e della vera fraternità. Nel presepe siamo fratelli, tutti.
È l’augurio che di vero cuore faccio a ciascuno, ad ogni paese della diocesi e a questa meravigliosa mia città, che spesso abbassa lo sguardo dalla stella per dirigerlo ai piedi dei piccoli e talvolta meschini interessi di parte.
La delicata e mortificante situazione amministrativa che stiamo vivendo ci insegni che c’è una vocazione alta e disinteressata al servizio di una comunità ingiustamente sempre provata nelle sue fasce più deboli.
Ecco amici, per noi il segno è questo: è il segno della solidarietà e della speranza che illumina le nostre volontà e i nostri cuori per il bene comune per il pianeta in cui viviamo. Troverete un bambino, avvolto in fasce che giace in una mangiatoia, è Lui, la nostra luce!
Buon Natale a tutti, vi benedico con affetto
Il vostro arcivescovo
+ Filippo