“Costruire una chiesa è un po’ come ricostruire la religione, restituirla alla sua essenza”. Con queste parole il grande architetto Giò Ponti risponde ad una domanda in cui gli si chiedeva che cosa fosse per lui costruire una chiesa. Lui che di chiese ne ha progettate tante, a ottant’anni progetta ancora opere memorabili come la nostra Concattedrale di Taranto di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della sua inaugurazione e consacrazione.
Figura indiscussa nel panorama dell’architettura e del design italiano del ‘900, Ponti ha dedicato una parte importante della sua attività alla progettazione di edifici sacri e la Concattedrale è il suo vero capolavoro. Commissionata dall’Arcivescovo Guglielmo Motolese in considerazione dell’espansione urbanistica della città verso la nuova zona orientale, la Concattedrale, dedicata alla Gran Madre di Dio, è una vera e propria sfida per Ponti come si evince dal complesso iter progettuale che lo ha portato ad elaborare ben quattro progetti prima di arrivare a quello finale. Inoltre, dal ricco e fitto epistolario tra l’architetto e l’Arcivescovo, si evince chiaramente come Ponti ha vissuto il suo lavoro progettuale innanzitutto come un percorso spirituale prima che tecnico, un percorso in cui la sua unica preoccupazione era quella di offrire alla città un’architettura che fosse a servizio della fede e della liturgia. Per altro, la committenza dell’opera arriva a cavallo del Concilio Vaticano II e Ponti avverte forte l’esigenza di adeguare il suo progetto alle esigenze della riforma liturgica.
In una pubblicazione con vari autori Ponti parla così della costruzione di una chiesa: “Non si tratta, nel costruire un tempio, di far aderire l’edificio della Chiesa allo stile di un’epoca – antica o moderna che sia – ma di far aderire l’edificio ecclesiastico a quella espressione della fede che ogni epoca accentua”. Insomma, l’architetto progetta e pensa l’architettura sacra con tutto se stesso soprattutto come credente. Giò Ponti, dunque, concepisce la Concattedrale portandosi dietro la complessa trama di pensieri sull’architettura sacra, sul rinnovamento conciliare, sulla forte dimensione della sua fede personale e quella della comunità e sul contesto storico e urbanistico della città, dando così vita ad un’opera architettonica fortemente simbolica nelle sue forme, nei colori, negli arredi e nelle opere artistiche in essa contenute.
La vela – così l’ha chiamata subito la gente – in luogo della cupola, o delle torri, si staglia come alto segnale. La vela è una facciata sul cielo. Dice Ponti: Ho pensato: due facciate. Una, la minore, salendo la scalinata, con le porte per accedere alla chiesa. L’altra, la maggiore, accessibile solo allo sguardo e al vento: una facciata per l’aria, con ottanta finestre aperte sull’immenso, che è la dimensione del mistero… La vela sostituisce la tradizionale cupola ed è costituita da un doppio muro traforato che dietro ha solo il vuoto e le cui aperture o finestre sono state realizzate, come spiegava lo stesso Ponti, “perché gli angeli vi potessero sostare”. Anche all’interno della chiesa ci sono forti richiami simbolici, come le due colonne ai lati del presbiterio che reggono due àncore, chiara allusione alla fede e alla tradizione marinara di Taranto. L’altare maggiore è di pietra bianca ma la porta rivolta verso i fedeli è coperta di ferro dipinto di verde. Allo stesso modo, anche la moquette per i rivestimenti è verde e la scelta di questo colore è dettata dalla volontà di evocare i fondali marini, ma anche il significato liturgico del verde come portatore di speranza. Dietro l’altare, dipinti dallo stesso artista, l’Angelo dell’Annunciazione e la Madonna. Alla sinistra di chi entra è stata ricavata una cappella dedicata ai caduti della Marina Militare, di cui Taranto è importante base. L’architetto diceva di aver studiato il tempio in modo che il grande sole di Puglia trionfasse all’interno, dando una illuminazione gioiosa e al contempo inducesse i fedeli ad avvertire nella luce un segno della presenza di Dio che riempie la solitudine e il buio dell’uomo.
La Concattedrale, oltre che essere una grande opera architettonica del ‘900, può sicuramente essere considerata un segno dei tempi e che deve assolutamente essere rivalutata e apprezzata e soprattutto non bisogna dimenticare la sua funzione principale: quella di vedere riunita la comunità diocesana, intorno al suo pastore, nei momenti più importanti della vita ecclesiale diocesana (messa crismale, settimana della fede, ordinazioni presbiterali, etc.).
Non bisogna nemmeno dimenticare che la Concattedrale, insieme alla Cattedrale di San Cataldo che non era più sufficiente a contenere le assemblee diocesane, è stata voluta e pensata come luogo della cattedra del vescovo, simbolo della potestà e della responsabilità del vescovo; da quel seggio infatti il Vescovo presiede l’assemblea liturgica e spiega le Sacre Scritture, rappresentando Cristo stesso. Infatti, come ricorda la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium al n.41, il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri.