Natale: l’esagerazione di Dio Padre
In un intervento nel mezzo dei lavori allo scorso Sinodo sull’Amazzonia papa Francesco, dopo un pomeriggio pieno di tanti contributi importanti, a braccio, in un discorso rapido non riportato da fonti ufficiali e in castigliano ha detto: «sono tutte cose vere, ma sarebbe necessario un “trasborde” qualcosa di “trasbordante”», che tradotto in italiano suona: «sarebbe necessario qualcosa di “straripante, traboccante”». Sono rimasto folgorato da questa espressione. Mi ha ricordato per un attimo quella parabola dell’invito alla festa nel Vangelo di Matteo, quando il re, incassato il rifiuto dei primi invitati decide di estendere il suo invito a tutti i poveri e gli ammalati. Sembra che la stanza del banchetto non abbia più muri e colonne, la carità di Dio rifiutata dagli uomini in prima battuta non si atrofizza ma si moltiplica a dismisura. Questo accade nel mistero della Natività. Il bimbo rifiutato, per il quale non c’è posto, diviene bimbo per tutti e lì dove ognuno incontra il neonato di Betlemme in fasce in realtà può fare esperienza di Dio.
Sì fratelli e sorelle, il Natale è l’esagerazione di Dio Padre che pone l’Unigenito sulla paglia, come anni dopo vedremo l’amore trasbordante di Dio pendere dalla croce fino a far fiorire la croce in albero della vita. Non possiamo non aggrapparci al Natale specie se siamo lontani da Dio perché nel presepe cominciamo ad imparare che dove abbonda il peccato sovrabbonda la Grazia.
Il Bimbo Divino poggiato, adagiato, nelle povertà e nelle miserie del mondo, dona cittadinanza a tutti i visitatori del suo presepio.
La gloria di Dio si staglia nelle vite di due giovani sposi in difficoltà, ma fedeli alla Parola ascoltata. Il canto del Gloria si manifesta in un’ordinaria notte di pastori stanchi, all’addiaccio, il Figlio di Dio nasce e giace immediatamente accanto al rifiuto degli uomini che non riescono a far posto, che non riescono a condividere. Dio ci viene a cercare e si lascia trovare, si lascia incontrare. I magi partono da lontanissimo, da terre sconosciute, eppure d’un tratto diventano vicini a Dio perché hanno seguito la sua sete nascosta nel sapere e nel misterioso bisogno di scrutare il cielo. La volta celeste è una protagonista muta del presepe, abbraccia la terra, abbraccia la cometa, avvolge col silenzio della sua notte e bacia la terra. Non se ne fa menzione diretta ma è il segno dell’incontro dell’infinito con quell’angolo di Betlemme, il cielo riempie la grotta, è indispensabile sfondo discreto, che alla stregua di Dio Padre, è presente, gioisce, accompagna e dispone ma non s’impone se non con la sua proposta d’amore. L’autore della vita incarna l’ostinata volontà di nascere. La nascita di un figlio ci richiama alla responsabilità, al fermarsi, al prendersi cura. Le esistenze degli uomini che divengono padri e madri sono toccate da un mistero così naturale ma così trascendente da rimanere stupiti di fronte al miracolo dei miracoli: mettere al mondo un figlio!
Fermiamoci per un secondo di fronte a Gesù che nasce: i profeti ne hanno cantato la nascita, il mondo attendeva il suo arrivo ma tutto si compie secondo i piani e i tempi di Dio.
Cari fratelli e sorelle tarantini, vi chiedo con umiltà di avvicinarvi al presepe per rigenerare la speranza, per rinnovarla, per farla rinascere. Avere fede vuol dire non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento. Sappiamo bene infatti quante cose ci affliggono, d’altronde a poche miglia di Betlemme di Giudea, il mistero di iniquità veniva tessuto nell’animo sordo e perverso di Erode, che percepiva in quella nascita una minaccia e non la salvezza.
Anche vicino a noi continuamente viene tessuto il male dei grandi problemi e dilemmi di questa terra, ma dal presepe si innalza l’inno alla vita e il grido dei poveri viene finalmente ascoltato. Rigenerare la speranza a partire da Dio è la nostra preghiera principale in questo Natale 2019.
San Giuseppe nel presepe è l’uomo giusto che protegge il Bambino e Maria dal pericolo, riesce a scegliere il meglio perché nel suo cuore alberga la Parola di Dio che lo consiglia nel sonno. Rigenerare la speranza a partire da un cuore onesto e misericordioso che sappia a ascoltare le esigenze di tutti e che si opponga ad ogni brama di potere e di soldi con la difesa della vita è il dovere che ci viene dalla fede nel Verbo Incarnato. Cosa c’è di più incerto che dare alla luce un bimbo in una mangiatoia? Un po’ come per futuro della nostra città, sul quale si addensano sempre nubi di incertezza. Possono mancare nel presepe tarantino gli ammalati? I ragazzi che vanno via? I disoccupati? I lavoratori precari? Possono non esserci oggi davanti a noi i tanti poveri, specie quelli più invisibili che affollano le nostre mense e i nostri dormitori? Eppure il Santo Natale è un invito pressante alla gioia, quella di riscoprirsi sempre visitati e amati da Dio, la luce che appare nel cuore della notte.
Il primo riflesso dell’amore di Dio che risuona nel Gloria a Natale è la sua presenza nei cuori di buona volontà. Quella buona volontà, quella piccola buona volontà nelle mani del Dio che si incarna, ha la forza di attirare la Redenzione del mondo intero: è così che rigeneriamo la speranza!
Guardiamo insieme al Dio con noi, all’Emmanuele nella paglia, per ricordare a me e a ciascuno l’impegno pressante che ci viene dal Vangelo e cioè che la Chiesa di Taranto dovrà essere sempre vicina a tutti a partire dai più deboli. In un cielo incerto brilla più chiara la certezza che i credenti si impegneranno all’amore e alla vicinanza, qualunque siano gli eventi futuri, saranno prossimi sempre e comunque ai poveri agli ammalati, ai poveri, ai bambini, ai ragazzi, agli operai, ai disoccupati, a tutti!
A questa città, a questa arcidiocesi, a questa terra meravigliosa amata da Dio, auguro il Natale di Gesù Cristo, che è Natale di speranza, di dignità, di responsabilità… di vita.
Con la più trasbordante benedizione di Dio
vostro
+ don Filippo, Arcivescovo