Carissimi e sorelle,
lasciamoci sospingere dallo Spirito in questa Quaresima del 2022, addentriamoci nel deserto dei quaranta giorni perché il Signore parli al nostro cuore (cfr Os 2). Nella Quaresima il credente trova lo spazio per risalire alla sorgente della fiducia, nel silenzio cerca di intuire il vento con cui il Padre ricrea ogni cosa. Assecondando l’esodo verso la terra promessa, noi dobbiamo ritrovare le ragioni della fede per cambiare il mondo a partire dalla personale conversione.
Ho la sensazione netta che il mondo sia oppresso dalla paura, dall’insicurezza, dalla precarietà. La pandemia (che non è ancora alle spalle) è stata una sferza durissima ad ogni nostra sicurezza e garanzia rispetto ad un nemico invisibile che ci ha terrorizzati. Oggi il fragore delle armi rende visibile il vero nemico dell’uomo. Leggiamo la paura gli uni sui volti degli altri. Sui bambini, sulle mamme, sui papà che si distaccano dalle loro famiglie per difendere il loro paese. C’è paura sui volti dei nostri vecchi che la guerra l’hanno vissuta, c’è paura sul volto di chi il riverbero della guerra lo riceve attraverso i media. Dopo la sirena di allarme in Ucraina tutti cerchiamo riparo, rifugio. Il rifugio per chi crede è Dio.
L’Apocalisse ci ricorda che infuriando il dragone contro la donna (immagine del popolo di Dio) ella si rifugiò nel deserto, a lei furono donate le “ali dell’aquila grande” (cfr Ap 12) per volare lontano dal male. Le due ali che noi riceviamo da Dio sono la Parola e l’Eucarestia. Sono nutrimenti solidi in questo mondo denutrito spiritualmente che non è capace da sé di produrre il bene. La Parola di Dio e l’Eucarestia che la comunità cerca ancor più di mettere al centro in questo tempo forte con l’ascolto, la vita dei sacramenti e la carità fraterna, rigenerano e trasfigurano il cuore dell’uomo.
Il vero nemico dell’uomo infatti è l’uomo stesso che ha oscurato il legame della fratellanza con la sete di potere, con gli interessi economici mettendo in campo l’orrore e versando sangue innocente. La Quaresima è sempre l’occasione feconda perché il cuore si alleni a riconoscere il peccato sempre accovacciato alla nostra porta (cfr Gen 4). La Sacra Scrittura insegna che ogni omicidio nasce dentro di noi. Così mentre condanniamo fermamente l’invasione della Russia ai danni dei uno stato libero e sovrano come l’Ucraina, noi mettiamo in campo quelle che sono le armi del combattimento spirituale ovvero la preghiera e il digiuno, così come ci ha chiesto papa Francesco e come la tradizione millenaria della Chiesa ci insegna. A cosa serve tutto ciò? A liberare il cuore da ogni fermento di odio, da ogni lievito di cattiveria. Quel pane essenziale, privo di ogni superfluo, insieme con l’acqua elemento di purificazione e di vita ci richiama al dovere di spezzarlo con tutti, per stringere legami poiché non siamo padroni di nulla, ma custodi dei fratelli e del creato. Si diventa più solidali nella ricerca dell’essenziale.
La preghiera non è un soliloquio davanti al vuoto, ma un coro di una comunità che si dispone supplice dinanzi a Dio e ascoltando la Parola dell’amore trova il coraggio di abbracciare i fratelli, così da non sentirsi soli e vincere la paura. Non ci sarà mai giustizia fra i popoli se non costruiremo cuori capaci di amare secondo l’amore di Cristo che dona la sua vita per noi!
Stiamo sentendo parlare tanto di Europa e davanti al Crocifisso pensavo con ingenuità e semplicità che questa Europa che ora cerca in tutti i modi la strada per vie risolutive spesso ha accarezzato l’idea di mettere da parte i segni della nostra fede cristiana perché reputati, per dirla con una parola in voga, non abbastanza inclusivi, per via delle molteplici realtà religiose, così da relegarli esclusivamente nella sfera culturale, come se anche solo la radice culturale del vecchio continente non fosse sufficiente per motivare tali segni come identitari e sorgivi per un futuro degno. Ora vedo in viaggio verso i confini dell’Europa dell’Est tanti crocifissi e crocifisse, bambini, donne e uomini, che sfuggono alla guerra. Guardiamo con verità a quel Crocifisso nelle nostre aule scolastiche, negli ambienti pubblici, sulle cime dei nostri campanili. Volgiamo lo sguardo al supplizio dell’innocente che sulla vetta del patibolo insegna agli uomini di tutti i tempi il linguaggio dell’amore, del perdono. in questa Quaresima, ancora una volta, diamo voce a Lui che con il suo sangue sparso per i peccatori ci ha insegnato che siamo tutti figli dell’unico Padre così che la nostra fede sia incarnata e concreta e rifugga da ogni ideologia che soffoca la voce dello Spirito aprendo le strade alla guerra.
Cari amici, l’esperienza di carattere emergenziale che siamo costretti a vivere non deve eclissare il nostro impegno quotidiano e il cammino diocesano. Anzi dobbiamo con maggiore vigore, facendo eco al messaggio del Santo Padre per questa Quaresima 2022 continuare seminare con fiducia e a sperare in una mietitura secondo i tempi della Provvidenza che non ci abbandona. Mentre nel mondo vediamo l’orrore della divisione per la guerra, nella Chiesa universale è attivo il cantiere della sinodalità, un cammino che oggi appare a noi non solo necessario ma profetico, che chiama tutti in causa, per riconoscere l’azione dello Spirito che nei molteplici carismi assicura i passi di Dio nell’esperienza di una Chiesa unita, in comunione. Così descrive questo percorso papa Francesco: «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme laici, pastori, vescovo di Roma». «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. È ascolto di Dio, fino a sentire con lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama».
La prossima Settimana della Fede, che segna il mezzo secolo delle adunanze tarantine nella concattedrale, sarà l’appuntamento, ancora una volta, in cui si renderà visibile questo percorso diocesano. Invito tutta la comunità ecclesiale a parteciparvi con il vivo desiderio di ritrovarsi insieme a condividere il dono della comunione. Abbiamo bisogno di ritrovarci, non solo per l’esigenza di una normalità che tutti insieme invochiamo da due anni di pandemia, ma perché l’emergenza sanitaria ha minato la comunione, ci ha isolati, ci ha dispersi.
Nel processo della semina vi è quello della naturale sedimentazione e il campo tarantino porta in sé tanti germogli che non dobbiamo trascurare come l’ultima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani vissuta nel capoluogo ionico lo scorso ottobre. L’evento in cui abbiamo più volte detto che tutto è connesso, non appartiene agli annali passati e non solo fa parte del nostro presente, ma soprattutto fonda il nostro futuro. Non possiamo perdere l’occasione di ripensare il nostro modo di essere comunità e di guardare al creato proprio nel momento storico in cui si affaccia con prepotenza il ritorno al carbone come unica fonte energetica, rimettendo la sordina al disastro ambientale di cui è esso è concausa. Proprio perché tutto è connesso, la Chiesa tarantina non può dimenticare la battaglia della conciliazione fra diritto alla salute e diritto al lavoro. Non dobbiamo lasciare indietro nessuna delle questioni seppur soverchiati da tanti timori. La priorità rimane sempre l’uomo nella sua integrità, nella cura della casa comune e del bene sociale.
La Quaresima per noi è un tempo meraviglioso per le innumerevoli espressioni della devozione popolare che aiutano il cuore di ognuno ad ascoltare il cuore stesso di Dio. Mi auguro che la prossima Settimana Santa, sia vissuta in tutta la sua bellezza, che nella città ed in ogni paese della nostra diocesi si possano vivere i riti che così caratterizzano il nostro popolo. Per questo nel nostro incontro con i fratelli vescovi di Puglia di metà mese, rifletteremo per prendere una decisione comune perché, rispettando le indicazioni sanitarie dello Stato, camminiamo insieme con quell’afflato di una fede fortemente identitaria che così tanto corrobora la nostra amata terra.
In ultimo vorrei riportare alla vostra attenzione alcuni passaggi della traccia di questo anno pastorale per non perdere il filo di un sentiero intrapreso dal quale non dobbiamo allontanarci.
Siamo fiduciosi nella fedeltà di Dio.
Siamo chiamati a riscoprire la fiducia afferrando la mano al Signore. Solo la fiducia alla sua fedeltà potrà avverare il desiderio di papa Francesco di una Chiesa in uscita. Solo la fiducia nella fedeltà di Dio può farci vincere la paura. Perché è la paura che domina la terra: la paura della pandemia, la paura delle immagini di guerra che arrivano nelle nostre case, la paura di un futuro incerto.
«Pietro non temere, ma fidati di me» ripete il Signore a ciascuno di noi, ad ogni nostra comunità. Solo nella fiducia riusciamo a prendere il largo. Questa fiducia vive in un luogo, nella Chiesa, nella nostra comunità di parrocchie, di associazioni, di movimenti, di sevizi, di confraternite che sono i luoghi concreti in cui la fedeltà di Dio deve fare irruzione. Nella comunità guardiamo coloro che paragonano di più la propria vita, le proprie esigenze, ciò che ci succede con la presenza di Gesù. Gli amici veri sono quelli che ci spalancano alla pienezza della nostra vita che può essere riempita dalla fedeltà di Dio.
Ecco fratelli e sorelle, nella fiducia assoluta al Signore a alla Chiesa, la nostra missione di quest’anno è quella di aprirci all’ascolto, al dialogo franco. Dobbiamo ascoltare la voce dello Spirito che parla nelle nostre comunità ma anche al di fuori di esse. Non siamo Chiesa se non siamo capaci di camminare insieme e di affiancarci agli uomini del nostro tempo. È vero, noi proponiamo e annunciamo il Regno di Dio, ma siamo accompagnatori in esso e verso di esso perché nessuno rimanga indietro. La Chiesa ha bisogno di rinnovarsi dando ascolto a tutti. Nel Regno il più piccolo è il più grande. L’ultimo è il primo. Il più grande si fa servo. Questa è la matrice della vera sinodalità, frutto del Vangelo coraggioso, autentico e maturo.
Nelle nostre comunità diamo luogo ad una umanità diversa in cui si respira la presenza del Signore come segno di speranza per tutti. La sinodalità è come la missione: dare credito a certe presenze reali che costellano la nostra comunità in cui sentiamo che sono abbracciate le nostre fatiche e i nostri drammi, compresa la morte di persone care.
Alla Vergine Addolorata affido questa Quaresima, a Lei che è la prima stella del mattino di Pasqua, che pur raccogliendo le nostre lacrime nell’otre di Dio, sosta sul calvario di ogni uomo, chiedo con tutto l’affetto di figlio di istillare in noi la speranza della Risurrezione di Gesù che ha vinto il peccato, anche il peccato della guerra e che ha sconfitto la morte per sempre.
Vi abbraccio nel Signore, re di giustizia e di pace
+ Filippo Santoro,
Arcivescovo Metropolita di Taranto